Traccia commento Mc 5,21-43

Pubblicato giorno 28 giugno 2021 - Commento, In home page

Traccia commento Mc 5,21-43

Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato

Marco ci presenta due racconti che si intrecciano tra loro, come nella vita, apparentemente diversi ma molto simili nel significato. Si parla di due donne, una di dodici anni e l’altra inferma da dodici anni (il numero dodici rappresenta la totalità di Israele), entrambe colpite a morte, quella biologica e quella sociale, entrambe diventate impure e intoccabili.

Ambedue le donne sono chiamate “figlie”, ambedue sono guarite e salvate. “Talità kum” non è una formula magica, ma l’invito che continuamente il Signore ci rivolge quando la vita ci mette a terra. Ci prende per mano e ci dice: “Alzati dalla tua convinzione di non essere amato; alzati quando ti senti scartato; alzati se il dolore ti ha messo in ginocchio”. “Dio non ha creato la morte – leggiamo nella prima lettura di questa domenica – e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza”.

Ma di fronte alla realtà della morte e della nostra condizione umana, la stessa parola vita assume contorni e riflessi inquietanti e travagliati. La morte, che sembra cancellare ogni rapporto, troncare ogni unione, disperdere ogni affetto. La morte, che conclude la nostra esistenza, distrugge, elimina e cancella tutto quello che siamo e quello che abbiamo. E nulla possiamo fare di fronte a questa realtà.
Ma se non possiamo fare niente noi, Dio invece ci dà un’altra certezza. Talita kum, alzati e vivi.

Talita kum, la nostra esperienza di vita non è conclusa e il buio del sepolcro non ci può trattenere. Talita kum, è l’incontro con quel Dio che abbiamo pregato, chiamato ed amato. Talita kum, è quel seme affidatoci dal Signore, seme che nasce dal dolore, innaffiato dalle lacrime, ma che non muore e non viene calpestato, che non viene chiuso in una gelida tomba o si consuma in una cassa di legno. E’ il seme che fiorisce di nuova vita. Talita kum.

“Padre – dice Gesù – io voglio che quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io”. E il Padre è il Dio dei viventi, che non ci ha creato per distruggerci, né ci ha fatto nascere per morire. Meraviglie del suo amore, che trasforma il dolore in speranza e la morte in vita.

Nel caso della donna emorroissa, il vero miracolo che Gesù compie non riguarda la sua guarigione fisica, ma l’averle ridato dignità, affrancandola dall’emarginazione sociale alla quale era stata condannata a motivo della sua malattia. Dove l’uomo si arrende, Dio continua a sperare e ad operare.
Di fronte alla malattia e alla morte, quando pensiamo che non ci sia più nulla da fare, Gesù ci dice: “Non temere, soltanto abbi fede!”.

Signore, vorrei che le mie mani potessero toccare il tuo mantello
e sapessero rivelare la mia assoluta fiducia in Te.
Signore, vorrei essere capace, con i gesti,
di annullare le barriere e superare i pregiudizi, per avvicinare gli altri a Te.
Signore, voglio credere che anche per me risuona la tua parola:
«La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».